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(09 AGOSTO 2017)

 

FOOD & DEMOCRACY
(NBNL N° 1 - 31 luglio 2017)

Parlare di cibo per parlare di gestione del potere e democrazia nei paesi occidentali permette di introdurre un argomento che (almeno in Italia) è tra i preferiti e all'ordine del giorno, per arrivare ad un altro, quello della politica, che (almeno in Italia) è tra quelli che disgustano maggiormente gli umori dei cittadini, ed attualmente tra i più trascurati.

Si può analizzare il grado di facilità di accesso delle persone alle attività legate alla somministrazione di cibo, per determinare il grado di democrazia presente nel paese? A mio parere sì!

In particolare, in un momento storico-mediatico dove lo spettatore/cittadino viene solleticato quotidianamente (stalkerato?) dai media attraverso trasmissioni, pubblicità, concorsi, corsi, programmi radiofonici e pornografie culinarie incentrate sull'importanza di mangiare bene, cucinare bene, presentare bene un piatto, utilizzare prodotti di qualità e del territorio, sponsorizzate da un orda di chef/manager pluristellati e plurimilionari, a mio parere diventa importante analizzare le conseguenze di questo processo, cercando di capire se il nostro paese garantisce un accesso democratico a queste "food experiences" o se invece le nega alla maggior parte dei cittadini, generando solo un sentimento di ulteriore frustrazione tra gli esclusi.

Parto dalla risposta: NO in Italia (il paese del mangiar bene e sano) non c'è una cultura democratica che permetta alla maggioranza dei cittadini di accedere (anche occasionalmente) ai ristoranti di alto livello (stellati ma non solo), per una semplice ragione: i prezzi sono esorbitanti per una famiglia onesta di lavoratori, i quali difficilmente potranno permettersi di spendere dagli 80 ai 150 euro a cranio!

Le critiche alle mie affermazioni potrebbero essere le seguenti: la qualità si paga! Se pretendi un servizio di alto livello ci sono dei costi elevati... Il personale, le spese e le tasse sono troppo alte in Italia (vero! però...). Tutte balle!!!

Anche all'estero la qualità si paga, si paga il servizio, esistono i costi, gli stipendi (non solo 300-500 euro al mese) e le tasse (si sono più basse ma le pagano all'estero), allora deve esserci qualcosa d'altro e sono arrivato alla conclusione che il motivo è insito in una mentalità italiota che ha origini storiche lontane, forse medievali, forse legate ai principati, alla nobiltà, al vassallaggio, alla monarchia, alla dicotomia storica tra chi può perchè è ricco e chi non può, il povero deve stare a guardare (ora in TV) e aspettare gli avanzi del pasto dei ricchi, gettati fuori dalla sala da pranzo con scherno (o schermo) e con l'augurio beffardo "di mangiare con buon appetito!"

Secondo questa mentalità, il povero (il cittadino medio) deve alimentarsi solo per sopravvivere, in ambienti a volte poco confortevoli e poco sani (fast food), mentre il ricco (il potente) può vivere secondo il principio che il cibo deve essere un'esperienza sopraffina, quasi mistica dove le sensazioni piacevoli scaturite sono il risultato di un mix tra arte culinaria, prodotti di altissima qualità, gusto estetico, stimoli sensoriali per i cinque sensi ed ambienti ricercati e confortevoli, quella che viene definita in inglese "A great food experience!"

Siccome di mio amo le esperienze e non amo le dittature, neanche per l'argomento cibo, quando sono all'estero, sondo spesso il terreno, cercando informazioni sui ristoranti di un certo livello e spesso scopro che questi ristoranti offrono solitamente soluzioni più accessibili e quindi più democratiche, in determinati giorni della settimana, oppure a pranzo o a cena nei giorni meno frequentati, con menù degustazione o con la soluzione posto al bancone del bar e questo, per esperienza personale, avviene puntualmente in molti paesi e città europee (provato Parigi, Dublino, Spagna del nord, Olanda) ma anche negli USA come ad esempio nella non proprio comunista NYC. Per un ottimo menù da tre portate, in ristoranti con una stella Michelin o di cucina molecolare, si spende in media, con una bottiglia di vino, sui 50-55 € a persona, a dispetto dei probabili 80-120 in Italia.

Per me questo, riflette la mentalità elitaria ed esclusiva (cioè che tende ad escludere) che persiste nella società italiana, nei campi più svariati, mentre la Democrazia (con la D maiuscola) dovrebbe reggersi sul principio dell'inclusività e delle opportunità date a tutti i cittadini volenterosi, partendo proprio da uno dei simboli italiani nel mondo... la tavola apparecchiata per molti commensali.

Come canterebbero i Beastie Boys sull'argomento:
"Fight for your right to make a great food experience... to Craaaacccooo!!!"

SL

 
     
       
   

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FOTOGRAFIE DEI PIATTI DEL RISTORANTE CHAPTER ONE DI DUBLINO (IRLANDA) - 1 STELLA MiCHELIN
Copyright immagini Giuliana Aghemo - Rita Frau - Silvio Lucchini

www.chapteronerestaurant.com

 
 
 
   
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